Principio di base del Metodo Montignac:
Principio di base del Metodo Montignac:
Contrariamente a quanto si è creduto per lungo tempo, il fattore energetico (senza peraltro essere trascurabile) non è decisivo nell'aumento di peso.
Tutti gli studi epidemiologici hanno chiaramente dimostrato che non vi è una correlazione tra il livello di consumo calorico di una popolazione e la sua percentuale di obesità. È stato addirittura constatato che in numerosi casi vi è un'inversa correlazione.
Dal 1960 la media quotidiana di consumo calorico nei paesi occidentali è diminuita del 35% circa. Mentre nello stesso lasso di tempo la percentuale di obesità è aumentata del 400%.
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L'iperinsulinismo è la conseguenza di una secrezione eccessiva di un ormone secreto dal pancreas: l'insulina.
Il ruolo dell'insulina è di far scendere la glicemia nel corso del processo metabolico che segue la digestione.
Quando si mangia un alimento glucidico (pane, pasta, patate, frutta, zucchero …), questo è trasformato in glucosio; il glucosio attraversa la barriera intestinale per ritrovarsi poi nel flusso sanguigno.
A seguito di ciò si assiste a un aumento della glicemia, ossia della percentuale di zucchero nel sangue rispetto al suo livello di base che, a digiuno, è di circa 1g per litro di sangue.
Questa glicemia scatenerà una secrezione d'insulina il cui ruolo principale sarà quello di delocalizzare il glucosio in eccedenza nel sangue e di stoccarlo nel fegato e nei tessuti muscolari. In questo modo la glicemia è riportata al suo livello di base.
In un individuo con un metabolismo normale si può considerare che la secrezione d'insulina è proporzionale all'importanza della glicemia. L'insulina prodotta è quindi solo quella sufficiente per far diminuire questa glicemia.
Ma in altri individui la risposta insulinica potrà essere sproporzionata rispetto alla glicemia. Questa eccessiva secrezione d'insulina è detta iperinsulinismo.
Occorre segnalare che numerosi studi scientifici hanno chiaramente dimostrato da 25 anni a questa parte che l'iperinsulinismo è sempre associato a un sovraccarico ponderale, e a maggior ragione all'obesità.
Lo scienziato B. Jeanrenaud ha descritto particolarmente bene il processo: «In tutte le obesità» afferma il ricercatore «qualunque siano la specie e il meccanismo, esiste un iperinsulinismo, e questo iperinsulinismo è direttamente proporzionale all'IMC (Indice di massa corporea ) che misura l'importanza del sovraccarico». E aggiunge: «Nell'animale un sovraccarico ponderale può essere indotto attraverso iniezioni d'insulina. Questo regredisce cessando il trattamento».
L'eccesso d'insulina si traduce dunque con un aumento di peso, e al contrario una diminuzione dell'insulinemia si traduce con una perdita di peso.
Contrariamento a quanto si è creduto per lungo tempo i glucidi non sono intercambiabili perchè non hanno tutti gli stessi effetti metabolici. Inoltre è stato dimostrato che le loro velocità di assorbimento intestinale erano globalmente uguali e che conseguentemente la loro classificazione in zuccheri lenti e zuccheri veloci era errata.
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Dall'inizio degli anni '80, infatti, è stato messo in evidenza che i glucidi appartenenti alla stessa categoria (due amidi complessi come per esempio le lenticchie e le patate) potevano, a parità di calorie, indurre glicemie totalmente diverse, addirittura tre volte superiori.
I glucidi sono così stati classificati all'interno di una scala in funzione della loro capacità di innalzare la glicemia. Ecco che i glucidi a indice glicemico basso provocano una glicemia bassa, mentre quelli a indice glicemico alto inducono un forte aumento della glicemia.
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Se una persona consuma in via eccezionale uno o più glucidi ad IG elevato, la secrezione d'insulina così provocata è sufficientemente efficace per far scendere la curva glicemica.
Ma se il consumo di glucidi ad IG elevato diventa un'abitudine, si assiste alla comparsa di una resistenza all'insulina (si parla anche di ridotta sensibilità all'insulina). Il glucosio infatti tarda, nonstante l'insulina, a uscire dal flusso sanguigno. È lo stadio dell'insulinoresistenza, che è particolarmente marcata nel caso del diabete di tipo II.
I ricettori dell''insulina, infatti, non funzionano più normalmente. Per questo motivo, l'insulina non è «riconosciuta correttamente» dalle cellule dei tessuti gluco-dipendenti, che non sono più correttamente informati della sua presenza. In questo modo la glicemia rimane alta in modo anomalo perchè il glucosio tarda a delocalizzarsi. Di fronte a tale inerzia, l'organismo si «spazientisce» e ordina al pancreas una nuova dose d'insulina che non fa che aggravare l'iperinsulinismo. Si crea così un vero e proprio circolo vizioso nel quale l'iperinsulinismo alimenta l'insulinoresistenza.
Numerosi autori hanno descritto come una delle proprietà fondamentali dell'insulina sia quella di agire sul metabolismo dei grassi. Si tratta del fenomeno della lipogenesi.
Se la glicemia che segue il pasto è molto elevata è probabile che il glucosio corrispondente sia in eccedenza rispetto ai bisogni dell'organismo. L'iperinsulinismo che questa glicemia avrà generato avrà dunque come conseguenza, sotto l'impulso della proteina-lipasi, di trasformare tale glucosio residuo in grasso che sarà stoccato nelle cellule adipose.
L'iperinsulinismo è dunque la causa funzionale dell'aumento di peso!
Ma la domanda che è legittimo porsi è la seguente: "Cosa sarebbero diventati questi acidi grassi se non fossero stati stoccati per via della lipogenesi?".
La risposta è semplice, benchè sorprendente: se non fossero stati attivati dalla lipoproteina-lipasi (per via dell'insulina), questi acidi grassi sarebbero semplicemente stati utilizzati (bruciati) dall'organismo che, in queste circostanze, adegua in modo corretto il suo rendimento metabolico.
Come abbiamo appena visto la lipogenesi è il processo metabolico che porta alla costituzione di grassi di riserva, dunque all'aumento di peso. La lipolisi è esattamente il contrario: si tratta del processo metabolico che porta al destoccaggio dei grassi, quindi all'origine del dimagrimento.
L'organismo si trova in realtà in una situazione tale per cui preleva gli acidi grassi dalle cellule adipose (adipociti) per utilizzarli come carburante, diminuendone così il volume.
Affinchè ciò accada, è necessario che il livello di insulina sia basso. Il meccanismo è il seguente:
Un livello basso di insulina ha come conseguenza l'attivazione di un enzima, il trigliceride-lipasi, la cui funzione è di liberare gli acidi grassi dai tessuti adiposi (adipociti) riportandoli nel sangue affinchè possano essere utilizzati come carburante.
In seguito, l'organismo si sforzerà di utilizzarli (bruciarli) modificando per quanto necessario il loro rendimento energetico.
In conclusione, possiamo affermare che l'insulina è il catalizzatore dell'aumento di peso.
Di conseguenza, attraverso la gestione del livello d'insulina, facendo in modo che sia il più basso possibile, si innesca il processo di dimagrimento. E per riuscirvi occorrerà ovviamente limitare al minimo l'ampiezza glicemica del dopo pasto (post prandiale).
L'unica soluzione sarà ovviamente di consumare solo glucidi con un indice glicemico basso e addirittura molto basso.
L'esperienza ha dimostrato che, consumando esclusivamente glucidi con un indice glicemico inferiore o uguale a 35, la risposta insulinica è sufficientemente bassa da consentire l'attivazione dell'enzima dimagrante, il trigliceride-lipasi, e scatenare così la perdita di peso.
Il fattore determinante dell'aumento di peso è dunque effettivamente, come abbiamo appena visto, il consumo di glucidi a indice glicemico alto.
Il fenomeno della lipogenesi scoperto nel paragrafo precedente ci fa capire perchè e in quale modo. Allo stesso modo, scoprendo il fenomeno della lipolisi, si può capire come il fattore essenziale del dimagrimento sia il consumo di glucidi ad indice glicemico molto basso.
Ma realizziamo anche che l'aumento di peso non è solo il risultato dello stoccaggio dei grassi consumati nel corso del pasto. L'insulina agisce anche sul glucosio in eccedenza generato da un consumo eccessivo di glucidi ad indice glicemico alto.
Per lunghi anni, i nutrizionisti hanno creduto che il glucosio non potesse trasformarsi in grasso. Per questo motivo raccomandavano di consumare principalmente glucidi, affermando che questi non facevano ingrassare.
Mentre, come ha denunciato il Professor Walter WILLETT: «consigliando di eliminare i grassi e raccomandando di consumare glucidi i nutrizionisti hanno contribuito ad aumentare l'obesità». L'assenza d'indicazione in merito alla scelta dei glucidi, infatti, ha portato gli obesi a consumare in maggioranza glucidi con un indice glicemico alto. In questo modo, non solo scatenavano una secrezione d'insulina, ma generavano inoltre considerevoli quantità di glucosio in eccedenza non necessarie all'organismo, che venivano trasformate in grassi di riserva.