L'indice glicemico misura la capacità di un determinato glucide di alzare la glicemia dopo il pasto rispetto a uno standard di riferimento che è il glucosio puro.
La glicemia è la quantità di «zucchero» (in realtà di glucosio) contenuta nel sangue. A digiuno la glicemia è di circa 1g di glucosio per litro di sangue.
Ma se si assume un glucide, questo si trasforma con la digestione in glucosio, e ciò si traduce con un aumento della glicemia.
Il livello della glicemia nel sangue è estremamente importante rispetto all'aumento o alla perdita di peso. La glicemia che compare dopo la digestione, infatti, induce la secrezione di un ormone, l'insulina che, in funzione della sua importanza, è in grado di scatenare o meno il processo di aumento del peso.
Per lungo tempo si è creduto che tutti i glucidi, a parità di quantità consumata, provocassero una risposta glicemica identica. A partire dalla metà degli anni '70 Crapo, un ricercatore californiano dell'Università di Standford, ha dimostrato che a parità di contenuto di glucide puro, ogni glucide provocava un diverso aumento della glicemia.
Era dunque necessario misurare il potere iperglicemizzante di ogni glucide (il suo potenziale glicemico, se così si può dire) per poi paragonarli tra loro.
Fu Jenkins che nel 1981 mise a punto gli indici glicemici sulla base dei lavori realizzati dal 1976 da Crapo.
Invece di considerare semplicemente l'importanza della glicemia provocata da ogni glucide, Jenkins prese in considerazione la superficie del triangolo d'iperglicemia determinata da tutte le curve della glicemia indotta dall'alimento testato e assunto da solo a digiuno.
Per costruire la scala degli indici glicemici Jenkins ha assegnato arbitrariamente al glucosio l'indice 100 (come era stato fatto per esempio arbitrariamente per lo 0° del termometro centigrado). Il valore 100 corrisponde del resto al 100% dell'assorbimento intestinale del glucosio ingerito.
Il valore degli indici glicemici degli alimenti misurati per la stessa quantità di glucide puro è determinato dalla formula seguente:
Superficie del triangolo di glucide testato Superficie del triangolo di glucosio |
x 100 |
L'indice glicemico misura dunque il potere glicemizzante di un glucide, ossia la sua capacità di liberare una certa quantità di glucosio dopo la digestione. Si può dire allora che l'indice glicemico misura effettivamente la biodisponibilità di un glucide, che corrisponde alla sua percentuale di assorbimento intestinale.
Per saperne di più sulla fisiologia dell'assorbimento intestinale
Se l'indice glicemico è alto (per esempio nel caso della patata) la percentuale di assorbimento del glucide corrispondente provocherà una risposta glicemica alta.
Se al contrario l'indice glicemico è basso (per esempio nel caso delle lenticchie) la percentuale di assorbimento del glucide corrispondente provocherà una risposta glicemica bassa se non addirittura insignificante.
Così, rispetto all'indice di riferimento 100 del glucosio, le patatine fritte hanno un indice glicemico (IG) di 95 mentre l’IG delle lenticchie verdi è 25.
Tuttavia bisogna sapere che l'indice glicemico di un glucide non è fisso, Può variare, infatti, in funzione di un certo numero di parametri quali l'origine botanica o la varietà per un cereale, il grado di maturazione per un frutto, il trattamento termico, l'idratazione, ecc.
Per saperne di più sui fattori di variazione dell'indice glicemico
Come abbiamo detto in precedenza l'IG indica il potenziale glicemizzante di un glucide, e dunque la sua capacità d'indurre una secrezione d'insulina in relazione. Sappiamo che più la risposta insulinica è alta, maggiore è il rischio di prendere peso.
Malgrado le avvertenze di alcuni grandi specialisti degli Indici Glicemici come il Professor Gérard Slama la comunità dei nutrizionisti continua nel suo insieme a fare riferimento, per quanto riguarda i glucidi, alla loro velocità di assorbimento.
In realtà vi sono due categorie di nutrizionisti.
Per loro, la nozione d'indice glicemico serve solo a misurare la velocità di assorbimento di un glucide. In quest'ottica la totalità del contenuto glucidico dell'alimento sarebbe sempre trasformata in glucosio, ma più l'indice è basso più l'assorbimento intestinale sarebbe lento, provocando così una glicemia più bassa e di durata superiore nel tempo. L'indice glicemico servirebbe solo, a loro avviso, a misurare la "spalmatura" nel tempo dell'assorbimento intestinale del glucosio.
Bisogna dire che questo concetto è completamente errato perchè non corrisponde ad alcuna realtà fisiologica.
Al contrario, tutti gli esperimenti sugli indici glicemici, in particolare quelli di Jenkins, illustrano chiaramente che un indice glicemico basso rivela effettivamente che è stata assorbita una quantità inferiore di glucosio, e non che la stessa quantità è stata "spalmata" su un periodo di tempo superiore.
Questo concetto errato della nozione di indice glicemico è purtroppo ampiamente condiviso dalla comunità scientifica che lo diffonde in modo maldestro su larga scala.
Nel suo libro «La dietetica del cervello» pubblicato nell'aprile del 2003, ed edito da Odile Jacob, il Professor Jean-Marie Bourre, membro dell'Accademia di Medicina Francese, afferma chiaramente che l'indice glicemico misura la velocità di assorbimento del glucosio, e ciò è completamente errato.
In conclusione si può dunque deplorare una cattiva conoscenza della classe medica del fenomeno dell'indice glicemico ma soprattutto della sua importanza rispetto alla secrezione d'insulina, che rimane il fattore determinante dell'aumento di peso e della comparsa del diabete.